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Harley Davidson XLCR 1000

Harley Davidson XLCR 1000, “Café Racer per veri uomini”

Proprio così recitava la pubblicità della Harley-Davidson nel 1977. In realtà, la traduzione letterale era “solo un uomo può aver fatto questo”, ma il senso era più o meno lo stesso, ossia, una moto fatta dagli uomini per gli uomini. Uno slogan pubblicitario che oggi potrebbe apparire non troppo azzeccato. All’epoca, però, lo scopo della Harley era quello di contrapporre un mezzo “caldo”, umano, i cui difetti congeniti erano innegabili ma quasi motivi di vanto per i fedelissimi della Company, ai freddi ma quasi perfetti progetti giapponesi che dall’inizio degli anni ’70 stavano invadendo il mercato americano, sottolineando il lato “rude” o “muscle” della moto che tanto piaceva alle schiere di cow-boys d’oltre oceano.

Effettivamente l’ LXCR 1000 di difetti ne aveva diversi, primo fra tutti quello di derivare da un progetto vecchio di vent’anni, quello dello Sportster, il che la faceva di certo partire in svantaggio nei confronti delle modernissime maxi giapponesi come Honda CB 750 Four, Gl 1000 Gold Wing e Kawasaki Z 900. Poi, forse un po’ di confusione nella dirigenza della Harley AMF di quegli anni fece sfornare un’altro slogano pubblicitario, un po’ infelice e di certo in contraddizione con il precedene. “Caviale su ruote”, se da un lato voleva sottolineare la ricercatezza del progetto, di certo spegneva l’entusiasmo dei patiti di lazo e birre scure.

Ad ogni modo, la Café Racer era una moto di sostanza, con tutti i pregi e i difetti tipici delle Harley di quegli anni. Guidarla oggi si rivela un’esperienza piuttosto impressionante, anche per chi è avvezzo al ferro americano. La moto appare solida come il granito, in tutti i sensi. Non è affatto maneggevole, sfiora i 190 kg ed è sicuramente inadatta ai percorsi tutte curve su cui le Café Racer dovrebbero essere a loro agio. La buona potenza del motore -998cc, con 61 cavalli a 6200 giri ed una coppia di 7 kgm a 3800 giri- ed in particolare la sua coppia generosa la rendono però molto divertente in accelerazione e nel misto veloce, dove il telaio denuncia leggermente i limiti dell’età e del baricentro piuttosto alto ma nel complesso viene promosso a pieni voti. La ciclistica poi si rivela migliore delle aspettative e, se non all’altezza delle contemporanee Italiane, di certo superiore alle rivali giapponesi.

I tre dischi dell’impianto frenante svolgono il loro dovere senza infamia e senza lode, mentre le ruote da 19 e 18 pollici non aiutano la maneggevolezza ma di certo si rivelano valide in autostrada. Nota dolente, come per tutte le Harley, sono le vibrazioni. Sempre presenti, aumentano progressivamente con il numero dei giri rendendo la Café Racer sempre più difficoltosa da condurre man mano che sale la velocità, cosa davvero non buona per una moto di questo tipo. Come sempre per le Harley-Davidson, però, questa serie di difetti non ne hanno decretato l’insuccesso -anche se i bassi numeri di vendita nei soli tre anni di produzione dovrebbero far riflettere- tramutandola in un vero pezzo da collezione, le cui quotazioni oggi sono considerevoli, ed in una vera icona per tutti quegli yankee che, abbandonando sissy bar e buck-horn, cominciarono ad apprezzare comandi arretrati e semimanubri ma non vollero in nessun caso vendersi alla concorrenza. A distanza di quasi quarant’anni, l’Harley Davidson decide di tentare nuovamente l’esperienza con L’ XR 1200.

La simil naked americana infatti, pur rievocando nel nome le sportster da short-track più che la Café Racer, in realtà assomiglia molto di più a quest’ultima che non alle cuginette che correvano sugli ovali in terra battuta. Anche in questo caso, però, il risultato non è stato dei migliori. La nuova XR 1200 è infatti una nuda di chiara ispirazione Europea, solida e corposa ma come la più anziana, gravata da un’impostazione troppo “U.S.A.” per piacere ai racer europei, e troppo europea per piacere agli smanettoni d’oltreoceano.

Testo: Andrea Mariani

Foto: dal web

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